venerdì 19 febbraio 2010

Il Teatro Costanzi di Roma

Il Teatro Costanzi, sul colle romano del Viminale, venne costruito in poco più di un anno. Ma la gestazione dell'opera fu piuttosto laboriosa e l'impresa costò sacrifici, disinganni e dolori al suo ideatore, Domenico Costanzi, il quale profuse nel teatro quasi tutti i suoi averi e cacciò in un mare di guai e di debiti.
Il Costanzi, uomo operoso, tenace e intraprendente fino alla temerarietà, venuto giovanissimo a Roma dalle Marche natie, si diede all'industria edilizia, specializzandosi in quella alberghiera, edificando diversi alberghi, tra cui l'albergo Costanzi, dove per vari anni convennero a migliaia i forestieri d'ogni parte di Europa e anche d'oltre oceano. Di questo albergo, sito in via S. Nicolo da Tolentino, ora non è rimasto che il ricordo. Costruì anche e organizzò l'Hotel del Quirinale, considerato come uno dei principali alberghi della capitale.
Grazie all'industria degli alberghi Domenico Costanzi era riuscito a mettere da parte qualche cosa come un milione di lire, che, a quei tempi, rappresentava una non trascurabile fortuna. Desideroso di legare il suo nome a un'opera più vasta e più alta di quella rappresentata dall'industria dell'ospitalità, accarezzò l'idea di edificare un grande teatro. Tanto più che in fatto di teatri, Roma, diventata capitale d'Italia nel 1871, lasciava alquanto a desiderare. Esisteva sì l'Argentina, ma conduceva una vita piuttosto stentata, e dell'Apollo, dove si svolgevano le grandi stagioni d'opera, confinato presso Ponte Sant'Angelo a ridosso di una strada mal sicura, era stata decretata la demolizione.
Fu nel 1877 che Domenico Costanzi iniziò trattative per un teatro degno della capitale, da erigersi in un'area di sua proprietà dietro all'Hotel del Quirinale, che nel frattempo era passato in altre mani. In quell'area dove allora c'erano gli orti, il Costanzi aveva dapprima progettato di erigere una decina di villini a scopo di speculazione, ma, una volta abbracciata l'idea del teatro, ad essa rimase avvinto con disperata tenacia. Messosi in rapporto con l'architetto Achille Sfondrini e con l'ing. Corti di Milano, il Costanzi, in un primo tempo, sembrava propendere per la costruzione di un politeama popolare in legno e laterizi a un solo piano e a un solo ordine di palchi, ma finì col risolversi per un'opera più vasta.
Gettate le fondamenta verso la metà del 1879, il nuovo teatro venne inaugurato, sia pure affrettatamente, in condizioni di non completa agibilità, il 27 novembre 1880 con la Semiramide di Rossini.
Lo Sfondrini — un architetto specializzato in costruzioni teatrali, progettista, fra altro, del teatro di Rieti e del teatro Verdi di Padova — edificò un teatro dalle linee grandiose e signorili, con una sala vasta ed armonica ed alcuni impianti tecnici che rappresentavano allora una novità:

«Da poco Roma ha un nuovo teatro, battezzato col nome del suo proprietario signor Costanzi; ne è autore l'ingegnere architetto signor cav. Achille Sfondrini. Il nuovo edificio sorge fra le vie Firenze e Torino, ed è oggetto di viva ammirazione per gli intelligenti e per profani dell'arte di Vitruvio
Non occorrono molte parole per dimostrare quanto torni utile in un centro intellettuale e politico come Roma un edificio che sia monumento e palestra per l'arte, ritrovo geniale e fonte di cultura per la cittadinanza, per i molti stranieri che visitano la capitale e per le cospicue persone convenute in essa per condurla ai suoi nuovi destini, ed offra a tutti quelle comodità che la scienza e l'esperienza consigliano.
II teatro è costruito in modo da potere agire di giorno e di notte, essendo rischiarato nelle ore del giorno dalla luce naturale e in quelle della notte con l'illuminazione a gas.
Nei quattro angoli dell'edifizio sono posti altrettanti caloriferi per riscaldare i vestiboli, le scale, il palcoscenico, i camerini degli artisti ed i locali annessi, in modo uguale e costante.
A codesto sistema di riscaldamento è coordinato quello della ventilazione, esperimentate per la prima volta in Italia, sulla preposta della Casa Monti di Torino, e che sarà superiore a tutti gli altri sistemi di ventilazione applicati finora.
Il teatro, di stile architettonico del cinquecento, ricco di eleganti stucchi e decorazioni su fondo dorato e di freschi e di ornati di pregio, e stato costruito in modo da agevolare agli impresari degli incassi vistosi e di farvi concorrere anche le classi meno favorite dalla fortuna, secondo il concetto generalmente adottato all'estero per i principali teatri, e specialmente secondo il tipo che offre il teatro imperiale di Vienna.
Al teatro è annessa una sala di concerti, dipinta con freschi di pregio, provveduta di una galleria superiore, perché possa essere usufruita come sala da ballo, di sale contigue d'aspetto e di una scala riservata.
Vi è pure unita una sala acconcia per dipingere le scene e che si trova in immediata comunicazione col palcoscenico, ed oltre i vasti locali adiacenti al sottopalco e al sopra-palco, il teatro ha molti e vasti ambienti per deposito di materiali, scene, macchinismi, per sale d'attrezzeria, da sartoria, da calzoleria, bijouterie, in mode che qualunque impresa vi trovi tutte le comodità opportune.
La Real Casa poi, oltre i palchi ad essa riservati, ha locali attigui ai palchi, una grande scala, un salone e un palco di scena appositamente costruiti per suo uso, ed un ingresso separate.
Il nuovo teatro è isolate, ed ha quattro prospetti: due sulle vie Torino e Firenze, uno incontro al villino Strozzi, ed il quarto lungo la nuova via testé aperta, fra il teatro e l'albergo del Quirinale.
In questa nuova via, l'ingresso principale. — Per maggior comodità del pubblico, venne costruito uno spazioso portico, per difenderlo dalle intemperie, e per meglio regolarne la circolazione. — Da questo portico si accede al teatro da un primo vestibolo, che serve pure da sala per la distribuzione dei biglietti. — A sinistra, di chi entra, trovasi una elegante sala d'aspetto per le signore, nella quale possono attendere, nel momento dell'uscita, le loro carrozze, senza esporsi a tutti quei malanni che derivano da un repentino cambiamento di temperatura. — A destra si entra nel vestibolo principale, le cui porte, che danno sulla via Firenze, si aprono solamente a spettacolo finito, per rendere, li numerosi spettatori, più ordinata e più facile l'uscita dal teatro.
In fondo al principale vestibolo, girando i sinistra, si entra nel grandioso salone ad uso di Caffè-ristorante, spaziose, bene arieggiato, elegantissimo. In codesto grande locale possono accedere dalla parte esterna del giardino anche coloro che non intendono assistere allo spettacolo. — Il caffè si trova in diretta comunicazione con tutti i 108 palchi per mezzo di campanelli elettrici. — Setto il caffè-ristorante vi è la Birreria, alla quale si accede, tanto dal teatro che dall'esterno, per una comoda scala che conduce nei locali sotterranei.

La Sala del Teatro Costanzi nel 1880, clicca sopra per ingrandire l'immagine
In occasione di spettacoli ordinari la platea può contenere 1200 spettatori, essendo fornita di 175 sedie distinte presso l'orchestra, 425 sedie numerate e di un largo spazio di posti in piedi. I palchi sono 108, distribuiti in tre file, su fondo cremisi ed oro, tutti spaziosi e forniti di comodi retropalchi. Sopra le tre file dei palchi s'innalza un vasto anfiteatro a due gallerie separate, con seggiole distinte, la prima delle quali può contenere 400 spettatori.
L' ultima galleria può dar posto a mille persone ed è interamente separata dal rimanente del teatro, avendo ingresso, scale, caffè e sale di trattenimento speciali.
Di guisa che il teatro può, in occasione di spettacoli, contenere 3500 spettatori e in occasione di veglioni, feste, esposizioni, ecc., aprendosi tutte le sale, circa 12000 persone. Il palcoscenico che ha una larghezza massima di metri 34, una lunghezza massima di metri 27, ed una altezza massima di metri 37, è provveduto nei fianchi di sale di aspetto per gli artisti e per le masse, di 32 grandi camerini e di 16 sale contigue in ciascuna delle quali, capace di 80 persone, possono essere ricavati altri camerini. Il sottopalco è pure fornito di altri locali e fra questi deve annoverarsi una gran sala di trattenimento per i professori d'Orchestra, designata per l'accordatura degli istrumenti, che deve aver luogo prima che l'orchestra si disponga nello spazio ad essa assegnato nella grande sala del teatro.

Boccascena del Teatro Costanzi nel 1880

L' orchestra (col sistema dell'ing. Sfondrini, che nulla ha che fare con quello di altri teatri nazionali ed esteri) è disposta in una camera armonica alquanto più bassa del livello della platea, e costruita secondo le leggi dell'acustica per modo che le onde sonore degl'istrumenti, descrivendo una paraboloide ellittica, si riversino nello spazio con una fusione più intensa e più omogenea di quella che si ottienne, quando non si pone mente alle condizioni del luogo ove l'orchestra risiede.
In tal modo i professori d'orchestra saranno più raccolti, gli effetti di colore e d'insieme strumentale saranno più efficaci e l'illusione della scena sarà più potente. La sonorità del teatro è perfettamente riuscita.
Allo scopo di non guastare gli effetti veri della luce sulla scena, e anche per ragioni di sicurezza, si è tolta la consueta ribalta dal piano del palcoscenico.
All'illuminazione a gas (con sistema speciale) e a luce elettrica del palcoscenico si è provveduto facendo derivare la luce da apparecchi collocati dietro la divisione in legno che separa i posti distinti dall'orchestra.
Cosi avviene che ne è rischiarato anche il recinto dell'orchestra, i professori non hanno bisogno di lumi speciali pei leggii, e gli spellateti non sono menomamente offesi da codesta luce, ch'è riparata dalla divisione in legno e da un apposito apparecchio. In occasione di veglioni il piano della platea può essere livellato in pochi minuti con il piano del palcoscenico.
L'altezza di questo è tale che le scene possono essere innalzate, senza che siano ripiegate; ciò che influirà alla loro conservazione e alla illusione degli spettacoli.»
E. Mariani (Il Teatro Illustrato, 16 Dicembre 1880)

Degna di menzione la cupola decorata da Annibale Brugnoli, una composizione dai colori vivaci con figure allegoriche simboleggianti la storia della Musica. Il Brugnoli eseguì la decorazione in poco più di un mese, un vero tour de force quando si pensi alla complessità del lavoro e alle proporzioni delle figure.
La spesa preventivata per il teatro si aggirava intorno a un milione, ma a lavori compiuti, il Costanzi chiuse il bilancio con una uscita di un milione e ottocentomila lire, che sali poi a tre milioni per l'impianto della luce elettrica e per le diverse altre innovazioni apportate in seguito al teatro.
La fondazione del teatro rappresentò per il Costanzi, tanto fortunato nelle precedenti imprese, la sua prima cattiva speculazione commerciale; il teatro però diventò il massimo teatro lirico della capitale e uno dei primi d'Italia.

martedì 9 febbraio 2010

La Roma di Federico Fellini


Secondo l'anagrafe Federico Fellini trasferisce la sua residenza da Rimini a Roma il 14 marzo 1939, e va ad abitare in Via Albalonga 13, insieme alla madre e la sorella Maddalena. S'iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza. Ma non arriverà mai a prendere la laurea, preferisce il giornalismo.
Sicuramente avrai sentito parlare delle sue collaborazioni come giornalista nel bisettimanale umoristico Marc' Aurelio. La redazione era in Via Regina Elena, 50.

Dopo pochi mesi, Federico lascia la casa di Via Albalonga e si sposta spesso da una pensione all'altra, e da una camera in affitto all'altra perché... qualche volta non riusciva a pagare l'affitto.

Un giorno, un giorno fortunato, Federico incontra Aldo Fabrizi: “Era stato per me un compagno favoloso nel mio primo impatto con Roma. Una specie di Papà Orco, di bonario Caron Dimonio, una guida preziosissima. Fu attraverso di lui che avevo incominciato a conoscere davvero il carattere dei romani, la vita della gente dei quartieri di periferia.” (Fellini raccontato da me. Conversazione con Costanzo Costantini, Ed. Riuniti, 1996)

Dal 1940, Federico inizia a scrivere per l'Eiar (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). Un giorno del 1942, altro giorno fortunato, conosce Giulietta Masina proprio nella sede dell'Eiar, in Via delle Botteghe Oscure, 54.

Dal 1942, oltre che collaborare al Marc' Aurelio e ad altri periodici, Federico scrive sempre di più: per la radio, per il teatro, per il cinema...

Dopo l'8 settembre 1943, si trasferisce da un Residence in Via Nicotera 26, in casa di Giulietta, ospite di una zia in via Lutezia 11.

Il 30 ottobre 1943, Giulietta e Federico si sposano nell'appartamento di monsignor Cornaggia de' Medici, che vive sullo stesso pianerottolo che la zia di Giulietta, e ha dispensa di celebrare fuori dalla chiesa. Corrono tempi difficili. Ai problemi economici si aggiungono altri pericoli. Federico, come altri giovani, cerca di evitare l'arruolamento forzato nell'esercito. Trascorre molto tempo rinchiuso nell'appartamento, ma qualche volta non ce la fa più, in questi casi sceglie la Piazza di Spagna, uno dei suoi posti preferiti per passeggiare.

Il 4 giugno 1944 arriva a Roma la V Armata del generale Clark. L'arrivo degli americani “ispira” a Federico ed al disegnatore EnricoDe Seta, suo collega al Marc' Aurelio, l'idea di aprire un negozio dove si eseguono ritratti e caricature, sopratutto ai soldati americani: nascono così le botteghe The Funny Face Shop, la prima vicino a via Nazionale. I soldi dell'amico Forges Davanzati fanno il resto.

Nel dopoguerra, Federico continua a collaborare nella radio e nel cinema, come sceneggiatore e perfino come attore.

Finalmente nel 1951 debutta nella regia, in collaborazione con Alberto Lattuada, con Luci del varietà. Pochi mesi dopo, e questa volta la regia è tutta per lui, arriva Lo sceicco bianco, sceneggiatura di Ennio Flaiano da un soggetto di Michelangelo Antonioni, musica di Nino Rota.
L'indirizzo di Giulietta e Federico a Roma è ancora Via Lutezia, 11.

Nel 1960, anno di La dolce vita, Giulietta e Federico abitano in Via Archimede 141/a.

Ad un certo punto tra gli anni '60 a i '70, una delle coppie più famose del cinema italiano trova casa in Via Margutta 110, che diventerà la sua residenza definitiva, a pochi metri dell'amata Piazza di Spagna, dove Federico continuerà a passeggiare spesso...

Proprio in quegli anni, i signori Fellini hanno scelto una residenza estiva (di vacanze e non) a Fregene, Via Volosca, vicino alla pineta scelta spesso come scenario dai tempi di Lo sceicco bianco.

sabato 6 febbraio 2010

Jazz Band alla Sala Umberto I 1925

«Roma, dicembre 1925. Yvonne De Fleurieul, la nostra diva bionda, nella sua desideratissima ed attesissima rentrée alla Sala Umberto I, ha provocato una grande e vera dimostrazione di simpatia, che certo non sarà presto obliata dalla valentissima artista.
Reduce dai trionfi dell'estero, e segnatamente di quelli clamorosi del Kursaal di Lugano, la scintillante ed originale Yvonne ha ritrovato tra i buoni quiriti i suoi ammiratori numerosissimi.
E si è presentata a noi tra una degna e grandiosa cornice: nel suo Jazz Band, che noi non esitiamo ad annoverare tra i più completi, più virtuosi e più sensazionali che esistono in Italia. Sei valentissimi professori compongono questo super-jazz. che può rivaleggiare coi migliori dell'estero e può sostenere vittoriosamente il confronto di quelli più rinomati. Basti dire che l'inno suonato sulla chitarra hawaiana e il valzer eseguito con la sega, hanno suscitato un delirio di applausi
E in mezzo a tanto splendore di arte, l'irrequieta e vivacissima Yvonne spazia come un astro radioso, scintillante come nelle scintillanti e biricchinissime sue canzoni, esuberante di vita, vibrante di grazia e di sorrisi.
Noi non staremo a magnificare l'eleganza della biondissima diva; né, così tardi arrivati, staremo a ripetere che essa è una personalità artistica notevolissima, e che dovunque si presentii, assolve il suo compito mirabilmente. Il coro ammirativo di cui e circondato il suo nome e i cento successi riportati nei cento teatri d'Italia e dell'estero, ci esimono dal ripetere quello che tutti sanno.
Yvonne de Fleurieul non ha bisogno delle nostre parole per spingersi nell'arduo cammino dell'arte. Ella è già un'arrivata e può con sicurezza calcare le scene più grandi e più difficili. Fin dalla lontana Havana la reclamano con insistenza. e nel prossimo gennaio ella trionferà in quei teatri, scritturata a condizioni principesche dall'Impresario Santos e Artigas.
L'arte italiana, quell'arte di cui noi siamo fautori ferventi, rifulgerà ancora in quei lontani paesi, e noi siamo certi che la bella, affascinante e dolcissima Yvonne saprà essere degna del nome nostro e saprà portare dovunque alto il nome d'Italia. La seguano infiniti, sinceri, fervidissimi i nostri auguri.»

Si tratta, sicuramente di Yvonne De Fleuriel, nome d'arte di Adele Croce, nata a Teano il 7 luglio 1889. Quanto mi piacerebbe sentire questa Super Jazz Band!
La Sala Umberto I, storico locale romano di teatro, rivista e cinema, che ha resistito quasi intatta fino ai giorni nostri conservando tutto il sapore e l'incanto della Belle Epoque, merita una visita.

giovedì 4 febbraio 2010

I luoghi di Michelangelo Antonioni

Antonioni, primo a sinistra, mentre gira a Roma l'episodio di L'amore in città 1953

Per Antonioni il paesaggio è molto importante: “Generalmente io trovo gli esterni prima scrivere la sceneggiatura. Per poter scrivere ho bisogno di aver ben chiaro l'ambiente del film. Può accadere anche che una storia mi venga suggerita da un ambiente”.
Riflettendo su questo, ho preparato una visita ai luoghi di Roma dove ha vissuto il regista dell'architettura della visione, nato a Ferrara il 29 settembre 1912, scomparso a Roma 30 luglio 2007. Vuoi sapere che paesaggio aveva Antonioni davanti alle sue finestre? Allora seguimi...

Michelangelo Antonioni arriva a Roma nel 1940, per lavorare come segretario di Vittorio Cini, presidente dell'Esposizione Universale che doveva celebrarsi a Roma nel 1942: “Ma la vita d'ufficio non era fatta per me. E così dopo un po' la mollai per entrare nella redazione della rivista Cinema”. Dopo aver frequentato per qualche mese il Centro Sperimentale di Cinematografia, inizia a lavorare nel cinema come sceneggiatore e aiuto regista.
L'indirzzo di Antonioni a Roma in quelli anni era: Via Cantore 17

Un giorno dopo l'8 settembre 1943, Antonioni, che si era rifugiato per qualche mese in Abruzzo, a casa di Antonio Pietrangeli, ritorna clandestinamente a Roma e si nasconde in casa di Francesco Pasinetti: via di Villa Massimo 24
In questo indirizzo rimarrà per qualche anno.

Verso la metà degli anni '50 è a Via Archimede, 44

E dagli anni '60 in poi a Via Vincenzo Tiberio, 18